Riportiamo il rapporto sul convegno UNI tenutosi a Roma il 10 novembre 2015 presso il Ministero dello Sviluppo Economico dal titolo
Quale ruolo per la normazione tecnica volontaria nella politica economica nazionale?
I rappresentanti degli stakeholder industriali e istituzionali hanno discusso del “cambio di passo” del rapporto tra normazione e legislazione. In questa fase di spending review per il sistema socio-economico italiano è indispensabile evitare che i tagli possano pregiudicare l’attività degli enti di normazione UNI e CEI. Fatto che si tradurrebbe inevitabilmente in un deficit di rappresentanza nazionale ai tavoli della normazione in sede europea (CEN) e mondiale (ISO) e potrebbe significare:
- perdere competitività e generare un effetto negativo di lungo periodo difficile da recuperare
- non sostenere il “Made in” negli aspetti della valorizzazione delle specificità italiane
- aumentare i costi sociali connessi alla sicurezza (infortuni sul lavoro, salute…) e vanificare lo sforzo che ha ridotto gli infortuni sul lavoro.
Occorre passare a una nuova fase in cui la normazione tecnica volontaria diventi sempre più parte attiva della politica economica del Paese, per incidere maggiormente sullo sviluppo: le più recenti ricerche inglesi quantificano in oltre 8 miliardi di sterline l’effetto economico della normazione sulla produttività del lavoro e in oltre 6 miliardi di sterline l’aumento delle esportazioni di prodotti “a norma” e delle imprese che lavorano “a norma”, con aumenti di fatturato tra 1,7% e 5,3% in specifici settori come aerospazio, difesa, alimenti e bevande… (fonte: CEBR 2015). In Germania e Francia l’effetto economico della normazione sul PIL è stimato nell’ordine dello 0,7 – 0,8% del PIL (fonte: DIN 2011 e AFNOR 2009) fino a raggiungere 1% in Nuova Zelanda (fonte: BERL 2011). Questi risultati sono stati raggiunti grazie alla valorizzazione della normazione tecnica volontaria e al suo pieno coinvolgimento nelle politiche economiche dei Governi dei Paesi.