La buona innovazione
La trasformazione digitale del concetto di responsabilità.
di
Bruno Esposito (FORUM Permanente della Responsabilità Sociale in Campania)
Valerio Teta (AICQ – Comitato per la Qualità del Software e dei Servizi IT)
Le rivoluzioni industriali, nella loro successione storica, sono concetti che forse semplificano in modi grossolani una complessa e lunga evoluzione sociale ed economica della nostra civiltà, ma sicuramente ci possono aiutare a mettere a fuoco il problema: non solo immaginare il nostro futuro digitale ma anche costruire nella pratica una nostra originale e consapevole partecipazione fondata sulla responsabilità sociale condivisa e sulla valutazione delle minacce e delle opportunità che si accompagnano alla trasformazione in atto.
LE DUE RIVOLUZIONI INDUSTRIALI
La rivoluzione industriale accompagna l’occidente nel difficile passaggio dalla modernità alla contemporaneità tra guerre, sconvolgimenti politici e sociali, catastrofi naturali, umane ed etiche.
La meccanica, le macchine e l’energia della rivoluzione industriale trasformano il panorama urbano e rurale: il cambiamento tecnologico dirompente incalza le dinamiche sociali e politiche.
La fabbrica mette in crisi il modello di comunità: si sviluppa in maniera impetuosa e impone al territorio la sua logica di crescita basata su livelli sempre più raffinati di complessità tecnologica.
Le élite industriali si costituiscono attraverso il possesso, pressoché esclusivo, delle risorse fondamentali tra cui la conoscenza scientifica e tecnologica. Senza i necessari contrasti da parte della Politica, dell’Accademia e delle Parti sociali le élite industriali conquistano e mantengono l’egemonia culturale: il vantaggio loro conferito dall’innovazione dirompente permette di sviluppare in assoluta autonomia i modelli organizzativi che governano la fabbrica.
Senza barriere valide l’egemonia esorbita dalla fabbrica e invade i campi della vita determinando con la meccanizzazione problemi di complessità senza alcuna preoccupazione del relativo impatto: nel rapporto individuo – tecnologia l’uomo operaio diventa un necessario accessorio da adeguare al funzionamento della macchina.
La cultura, o meglio, il mito della fabbrica razionale (costantemente migliorata nella forma dal fordismo al toyotismo) tracima dai suoi confini.
La complessità è indotta e giustificata dalla spinta alla crescita: il modello di governo di tutte le organizzazioni complesse si basa su macchine e procedure e genera l’estraniamento della persona.
La cittadinanza, conquistata con costi altissimi, perde i suoi caratteri distintivi nella meccanizzazione sociale: il cittadino da soggetto protagonista diventa il necessario terminale consumistico della macchina sociale.
La degenerazione dell’esercizio della delega mette in crisi il concetto di rappresentanza e di responsabilità …
LA TERZA RIVOLUZIONE L’ERA DIGITALE
Tra la fine degli anni ’40 e l’inizio dei ’50 nel secolo scorso, l’industria statunitense con tecnologia elettronica realizza e introduce sul mercato una macchina rivoluzionaria[1]: il computer, sistema capace di fare un lavoro (acquisire i dati d’input, eseguire i calcoli desiderati, restituire il risultato) in base a un programma memorizzato in quel momento per quel fine – basta cambiare il programma per mettere in condizione il computer di eseguire un lavoro diverso.
Anno dopo anno il successo della tecnologia informatica supera irresistibilmente ogni più rosea previsione.
Il cambiamento è ancora una volta dirompente: le ICT dimostrano un alto grado di pervasività entrando in tutte le organizzazioni e contaminando le altre tecnologie.
Dopo solo quarant’anni, in piena accelerazione, compare il fenomeno internet.
Qualcuno parla di era dell’informazione e di economia della conoscenza: non è ancora stata smaltita la coda dell’ultima transizione che tutto ricomincia a cambiare.
L’interpretazione del cambiamento è controversa.
Se il punto di vista è basato sulla considerazione di internet come super-macchina astratta allora la prospettiva della deriva tecnocratica della convivenza civile si conferma peggiorando la crisi della cittadinanza.
La globalizzazione e i connessi processi di delocalizzazione hanno drasticamente ridotto il numero delle fabbriche insediate sul territorio nazionale in un panorama industriale costantemente punteggiato di capannoni abbandonati.
Le nuove élite formatesi grazie a internet hanno rapidamente soppiantato le precedenti élite industriali e hanno svuotato la capacità di azione dei corpi intermedi faticosamente costruiti al traino delle prime rivoluzioni industriali accelerando la formazione della società liquida.
Le nuove élite si sono rese indipendenti dai territori e dalle nazioni di origine, ma hanno mantenuto intatta la capacità di alimentare il mito dell’efficienza e della razionalità e con essa la capacità di governo globale della nuova meccanizzazione sociale fondata sullo sfruttamento dei nostri dati e delle nostre conoscenze.
Le caratteristiche di leggerezza, agilità e velocità, proprie delle nuove elite determinano l’avanzamento delle asimmetrie informative e lo sviluppo del consumo digitale in parallelo all’opacità dei sistemi di governance.
La cittadinanza rischia di diventare una parola vuota …
INNOVAZIONE DELLA CITTADINANZA DIGITALE
Se il punto di vista cambia e trova la sua base sulla considerazione di internet come conversazioni-relazioni, allora si può cogliere l’opportunità di rileggere lo sviluppo tecnologico: la rivoluzione digitale diventa l’occasione per ricomporre il rapporto individuo – tecnologia riassegnando il primato alla persona e riconducendo la tecnologia al suo ruolo di strumento.
Sviluppando questa ipotesi è possibile ricostruire una comunità, come termine positivo, che, consapevole della natura strumentale della tecnologia, guardi al digitale come al mondo delle nuove possibilità: più ampia partecipazione democratica nel rapporto cittadino-istituzioni, condivisione delle basi della conoscenza, accesso sicuro all’informazione, più ampio e positivo uso delle banche dati, trasparenza nella PA, trasformazione del dominio delle relazioni remote per tutelare al tempo stesso riservatezza e tracciabilità.
Ovvero si riparte dalla tecnologia digitale ridefinita quale strumento di facilitazione della composizione della comunità e non barriera divisiva e generatrice di nuove disuguaglianze.
Nella realizzazione di questi obiettivi è indispensabile che tutti i preposti al governo dei processi abbiano la consapevolezza del ruolo del cittadino e della tecnologia per garantire, nell’assunzione della responsabilità di governo, il giusto equilibrio tra efficacia – efficienza – benessere della comunità.
La costruzione di una “società digitale”, in quanto composizione di una comunità complessa di soggetti, richiede che sia definito il patto costitutivo alla base della comunità; ovvero che siano definite la natura, la forma, la struttura e le regole fondamentali della comunità.
E’ evidente che la natura costituente richiede la più ampia rappresentanza dei soggetti interessati nel loro ruolo di attori primari della natura democratica della comunità e non semplicemente come fruitori di un percorso tecnologico per la realizzazione di processi di semplificazioni e smaterializzazione.
In particolare la carta costituzionale della “società digitale” deve essere il risultato di una comune base culturale e di una comune visione.
La “società digitale” trova il suo scopo di essere nella capacità di migliorare il benessere della comunità senza introdurre possibili elementi di disuguaglianza.
Inoltre è indispensabile che nella fase iniziale la carta costituzionale digitale sia per natura flessibile ed aperta; ovvero sia capace di accogliere le modifiche che si renderanno necessarie come tipiche di un percorso sperimentale, senza impedire di individuare principi e valori inalienabili come riferimenti fondamentali della visione della comunità.
E’ necessario anche che la carta preveda specifici indicatori di effettività e le necessarie procedure correttive al fine di valutare l’operatività della carta, non quindi come solo risultato di un’interpretazione culturale ma come un’oggettiva determinazione della vita stessa della comunità, una concreta corrispondenza tra costituzione formale e costituzione materiale.
CHE FARE?
Su queste premesse si potrebbe promuovere un tavolo di condivisione tra tutte le parti, rappresentative dei molteplici interessi e coinvolte nel processo democratico di costruzione della “società digitale”.
Per costruire nella pratica una consapevole partecipazione si possono portare al tavolo alcuni primi punti di riflessione:
- Riconoscimento del carattere strategico delle architetture del software nella innovazione dei processi di lavoro; da questa analisi discende il valore della disponibilità delle leve per l’innovazione dunque la necessità del superamento dei software proprietari. L’open source[2] diventa il riferimento fondamentale per le seguenti motivazioni:
- Il codice è un bene della comunità,
- Il codice è liberamente accessibile e modificabile e le architetture sono note e condivise (modello del prodotto SW),
- l’organizzazione della comunità garantisce i meccanismi di conoscenza, condivisione, accesso, uso e evoluzione (modello del processo SW).
- Assicurazione che le interazioni tra persona e tecnologia digitale seguano i principi dell’ergonomia con l’obiettivo del benessere dell’individuo nel mondo digitale.
- Unicità dell’identità del cittadino digitale che accede ai servizi IT della Pubblica Amministrazione – disciplina internazionale per la cittadinanza digitale.
- Riconoscimento della dignità del cittadino digitale da parte di tutte le Pubbliche Amministrazioni attraverso la chiusura del ciclo dei Servizi orientati al cittadino con i sistemi CRM Citizen Relationship Management .
- Sviluppo della governance dell’innovazione digitale per costituire cultura, forme e capacità necessarie a regolare il funzionamento di una comunità in cui siano armonizzati gli interessi di tutte le Parti e superati i conflitti ovvero selezione di una nuova classe dirigente politica in grado di integrare le élite di internet nella cittadinanza digitale
- Declinazione dei principi della responsabilità sociale nel mondo digitale.
Proprio l’ultimo punto rappresenta al meglio la nostra ipotesi di realizzazione dell’idea di cittadinanza digitale e sarà la base per l’avvio dell’iniziativa di costituzione del Forum Permanente Della Responsabilità Sociale Digitale in Campania in occasione del 4° Salone Mediterraneo della Responsabilità Sociale Condivisa il 17 giugno ore 16.00 presso la Camera di Commercio di Napoli al Caffè della responsabilità sul tema “Dalla cittadinanza digitale alla responsabilità sociale digitale”
[1] Il computer era stato immaginato, poco più di una diecina di anni prima, dai due celebri scienziati ALAN TURING e JOHN VON NEUMANN.
L’ICT è un Business mondiale che ha tenuto in piedi per decenni il PIL dell’occidente e più in generale di quella parte di mondo fortemente industrializzata ed economicamente stabile.
Un business di una tale importanza che, per sopravvivere a se stesso, ha un bisogno continuo ed urgente di nuovi mercati, di nuove tecnologie, di utili mondiali che incentivino gli investitori e di nuove fabbriche sempre più efficienti, sempre più economiche e sempre più lontane da quel modello concettuale, etico ed organizzativo del vecchio occidente che nella sua crescita qualitativa e culturale ha fatto levitare anche il proprio costo economico e sociale.
In questo momento, a mio avviso ma non solo, il problema delle leve di questa rivoluzione, che è ancora in atto ma governata altrove, rischia di rendere anacronistica ogni iniziativa di governance a livello locale del fenomeno che non sia di facciata o meramente speculativa, con buona pace di coloro che vi profondono con convinzione e serietà tempo, mezzi e risorse.
I modelli di business che oggi imperano a livello globale, non permettono al soggetto finale di essere attore di ciò che acquista e/o utilizza. Il suo ruolo è piuttosto quello del fruitore di questo o quel servizio in una parvenza di totale libertà a pagamento che è invece condizionata dalle scelte di business che impongono il modello e la tipologia del servizio erogabile, l’HW su cui deve essere realizzato, il SW di base, i protocolli di rete, lo storage dei dati (sempre più volatili e delocalizzati) ed i gusti medi da soddisfare per massimizzare il profitto.