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Dai tappi delle bottiglie migliaia di microplastiche

Lo hanno scoperto i ricercatori del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università Statale di Milano, mentre cercavano la fonte delle microplastiche trovate nell’acqua minerale evidenziata da diverse ricerche.

Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Water Research, aveva come obiettivo quello di analizzare l’effetto dell’usura della bottiglia sulla quantità e sulla tipologia di microplastiche presenti nell’acqua. Per farlo sono state esaminate in laboratorio bottiglie da mezzo litro di tre marchi di minerale realizzate con PET (polietilene tereftalato) di spessore diverso (leggero, medio e pesante), e sono state sottoposte a diversi trattamenti per simulare le normali sollecitazioni a cui possono andare incontro durante l’uso.

Da una parte è stato studiato l’effetto dell’apertura e chiusura del tappo, ripetendo l’azione una sola volta, 10 volte oppure 100 volte (per simulare il riutilizzo della bottiglia). In seconda battuta le bottigliette sono state fatte rotolare ripetutamente sotto un peso da 5 kg per uno o 10 minuti per riprodurre le conseguenze dello schiacciamento e sono state messe a confronto con bottiglie di controllo non trattate. Inoltre, l’acqua è stata filtrata per contare il numero di microplastiche presenti e determinare il tipo di polimero da cui provengono.

Per prima cosa, anche i ricercatori milanesi hanno confermato la presenza di microplastiche nell’acqua minerale. Infatti, le analisi hanno rilevato una media di circa 150 microparticelle litro, un numero che non giustifica allarmi per la salute dei consumatori (per ora) e che non aumentavano in maniera significativa dopo i trattamenti a cui sono state sottoposte le bottiglie, a indicare che la fonte della contaminazione fosse da cercare a monte, ad esempio al momento dell’imbottigliamento.

Il team di ricercatori ha scoperto che il PET, indipendentemente dallo spessore della bottiglia e dall’usura, non contribuisce quasi per nulla alla contaminazione da microplastiche nell’acqua. Analizzata al microscopio elettronico, la superficie interna delle bottiglie appare intatta o quasi, anche dopo le prove più stressanti.

Non è così per i tappi, realizzati in HDPE (polietilene ad alta densità), che invece reagiscono male alle sollecitazioni. Man mano che vengono aperti e richiusi, dai tappi si staccano microscopici frammenti di plastica, che si depositano soprattutto sul bordo della bottiglia e sul tappo stesso. Stiamo parlando di centinaia di migliaia di microparticelle che possiamo ingerire ogni volta che beviamo direttamente dalla bottiglia.

I ricercatori hanno notato anche che i tappi di uno dei tre marchi di minerale si usurava molto di più e rilasciava microplastiche in quantità 10 volte maggiori rispetto agli altri. Ciò potrebbe essere dovuto alle caratteristiche strutturali del collo delle bottiglie, che presentano delle interruzioni nel filetto, assenti negli altri due marchi. Questa struttura potrebbe causare una frizione maggiore durante l’apertura e la chiusura del tappo e quindi incrementare il numero di microplastiche.

Un problema, quello delle microplastiche prodotte dal tappo, che potrebbe interessare anche le bottiglie e le borracce riutilizzabili con tappo a vite e che richiederebbe un ripensamento dei sistemi di chiusura, privilegiando quelli a pressione. “L’industria si è resa conto che il punto debole delle bottiglie è il tappo – spiega Paolo Tremolada, professore di ecologia e uno degli autori dello studio – La soluzione escogitata da alcune aziende è quella di utilizzare lubrificanti per ridurre la frizione e quindi il distacco di particelle plastiche, ma ci sono alcune criticità sul tipo di lubrificanti”. La nota da rilevare è che non è noto se un’esposizione prolungata alle microplastiche possa avere effetti sulla salute umana.

C’è un ultimo aspetto da considerare – precisa Tremolada – i produttori dovrebbero garantire ai consumatori la purezza dell’acqua anche rispetto al contenuto di plastica, come già accade per batteri e altri contaminanti. Invece, non essendoci controlli c’è il rischio che un elevato quantitativo di microplastiche entri in contatto con l’organismo o sia disperso nell’ambiente e quindi possa finire i nuovo nel cibo per via indiretta”. Chissà, forse un giorno sulle bottiglie d’acqua, insieme alle analisi chimiche, troveremo anche quante microplastiche contengono.

Fonte: Il Fatto Alimentare

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