di Ing. Francesco Fascì
“Killer silenzioso”, “Un missile lanciato contro il nostro futuro”… sono solo alcuni degli gli slogan, coniati su questo minerale, che hanno fatto breccia nell’opinione pubblica, amplificati oltremodo dalla cronaca giudiziaria anche recente.
Ma, in effetti, se ad oltre trent’anni da quando il suo utilizzo è stato definitivamente bandito e, soprattutto, realmente cessato, è innegabile che siamo consapevoli di essere ancora “circondati” da prodotti che hanno questo minerale, in svariate percentuali, tra quelli costitutivi, rimane comunque a monte di tutto il problema prioritario: sappiamo riconoscerlo?
Perché siamo arrivati a questo? Perché l’amianto o “asbesto” (temine greco che rimanda alla sua sostanziale “indistruttibilità”) sembrava essere, per il mondo produttivo, il “non plus ultra” dei minerali: conosciuto fin dall’alba dei tempi (pare che gli stoppini delle lampade degli antichi greci fossero di asbesto…), ubiquitario in natura (anche in Italia: la cava di Balangero, in provincia di Torino, è la più grande d’Europa, ed è stata attiva fin quasi al 1990!), facilmente estraibile ed altrettanto facilmente lavorabile, con caratteristiche fisico-meccaniche eccezionali (straordinariamente resistente al calore, ma anche con ottime caratteristiche di fono-assorbenza): insomma, l’Eldorado del mondo produttivo…
Ed in effetti, per lungo tempo fu così.
Un esempio tipico della capillare diffusione di prodotti con componenti a base amiantifera, si riscontra con il fatto che il “pensare comune” associa ormai l’amianto alle diffusissime lastre di copertura in fibro-cemento, tanto che ormai quello che era nato come marchio commerciale (“Eternit”, registrato ai primi del ‘900 per queste lastre) è diventato oggi, nel linguaggio comune, sinonimo di “amianto”!
In effetti, questa soluzione tecnica, una volta introdotta, divenne quasi monopolistica nel settore (grandi impianti per la produzione di queste lastre erano operanti anche in Italia, com’è tristemente noto viste le vicende di Broni, Casal Monferrato, ma anche a Bari, Bagnoli…), fin quando, prima ancora che avessero risonanza gli studi medici che sancivano la pericolosità connessa all’esposizione alle microfibre amiantifere, si è iniziato comunque a riscontrare un calo delle vendite, perché gli architetti trovano antiestetiche (se non proprio brutte…) queste coperture!
Quello che tanti purtroppo non sanno è che la tecnica del “fibro-cemento” si era dimostrata vincente in tante altre applicazioni: ci sono, per esempio, ancora oggi svariati chilometri di collettori di acqua potabile, in reti acquedottistiche in esercizio, realizzati con tubazioni in “fibro-cemento”!
Attenzione, però: la presenza di materiali contenenti amianto non deve essere intesa un pericolo tout court: le pesanti (invero terribili) implicazioni per la salute umana sono possibili, a quanto ad oggi noto, solo in conseguenza di inalazione di microfibre amiantifere che si “stacchino” dal materiale (foss’anche per naturale degradazione dello stesso). In tal senso, non vi sono conferme di correlazione tra sviluppo di mesotelioma ed esposizione a fibre amiantifere che siano entrate nel corpo della persona per altre vie (ingestione, contatto, ecc…).
Quindi, come detto, il nodo cruciale da sciogliere, in maniera prioritaria è: come individuare un prodotto che possa essere stato realizzato con materiali contenenti amianto?
Anche a voler restringere, in questa sede, il campo a prodotti afferenti al mondo che gira intorno agli edifici, la domanda che sembra semplice, implica risposte a volte molto, molto complicate…
Ricordiamoci che la gamma dei prodotti per i quali è stato utilizzato, in passato, se non infinita sicuramente è molto lunga, pertanto una prima discriminante potrebbe essere: in che anno è stato realizzato il prodotto da indagare?
Una pavimentazione in linoleum degli anni ’90, stesa in rotoli uniformi, rispetto ad una pavimentazione in linoleum della quale si ha certezza che sia stata posata negli anni ’60 – ’80, che si presenti in forma di quadrati con lato di 30*30 cm e/o 40*40 cm, indubbiamente fa propendere verso quest’ultima la probabilità/sospetto che in essa sia presente, tra gli elementi costitutivi, l’amianto!
Anche l’aspetto esteriore può/deve far nascere il sospetto di essere in presenza di materiali contenenti amianto.
Un vecchio vaso di fiori, risalente ad anni “sospetti” (fine anni ’70) che“a vista”, nei punti che nel tempo si sono “sbrecciati”, si presenta con bordi fibrosi poco compatti ed uniformi, può/deve ingenerare in chi lo guarda il sospetto che esso presenti, tra i materiali costitutivi, minerali amiantifieri.
A rendere ancora più complicata una problematica già di sé di non facile approccio, vi è anche il problema connesso al fatto che può verificarsi il caso in cui il prodotto “sospetto” sia, in realtà, costituito da un sandwich di materiali, anche di diversa natura…
Quando si esamina ad esempio, la struttura posta come coibentazione di tubazioni, qualora gli altri “indicatori” prima descritti suscitino il sospetto che si potrebbe essere in presenza di materiali contenenti amianto, bisogna porre molta attenzione nella fase di prelievo di un campione rappresentativo dell’intero ammasso: occorre, infatti, che sia rilevata e campionata l’intera stratigrafia della struttura coibente, per avere un quadro della situazione che sia effettivamente realistico ed una refertazione che sia certa della presenza o meno di MCA.
La risposta quindi, in ogni caso non può che venire da una specifica analisi di laboratorio su un campione massivo rappresentativo dell’intero materiale.
In definitiva, qualora anche solo si sospetti che vi sia presenza di materiali contenenti amianto, un approccio metodologico corretto non può che prendere le mosse da un puntuale censimento della struttura. Prendendo avvio dall’esame critico della documentazione storica disponibile, sta poi alla sensibilità dell’Operatore eseguire un sopralluogo mirato e puntuale della struttura. Certo, è solo l’analisi di laboratorio sui campioni massivi prelevati che può dirimere i dubbi che sorgono in situ.
Si ricorda che l’attività di prelievo di campioni massivi di materiali che possano contenere amianto, pur essendo riconducibile tra quelle soggette a “Esposizione Sporadiche E di Debole Intensità” [ESEDI] dalla “Lettera Circolare prodotta dalla Direzione Generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 25/01/2011 (prot. 15/SEGR/0001940)”, deve comunque essere svolta seguendo una procedura che cauteli il Soggetto che la esegue, riassumibile in una serie di passaggi consecutivi:
- l’operatore deve essere munito di specifico DPI (maschera facciale) con idoneo grado di protezione, a tutela delle vie aeree;
- subito dopo, deve inumidire con uno spruzzino la porzione del materiale da campionare, procedura utile per impedire che si limiti molto l’insorgenza di polveri durante il prelievo;
- provvedere quindi a staccare un pezzo, con movimento secco e deciso, utilizzando allo scopo pinza e/o tenaglia (circa 10 cmq è una quantità accettabile, in laboratorio);
- riporre il campione in busta chiusa e sigillata, apponendo sulla stessa una targhetta adesiva nella quale sia ben visibile la lettera “A” e nel contempo, la data di prelievo ed il luogo campionato;
- sigillare i bordi della frattura dal quale è stato staccato il campione con abbondante dose di collanti e/o sigillanti;
- eventualmente, cerchiare la porzione di area censita con vernice ad alta visibilità.
Il campione prelevato, da consegnare nel più breve tempo possibile al laboratorio scelto (verificando che esso risulti certificato secondo le norme UNI EN ISO 9001:2008 e da “ACCREDIA®), al fine di essere sottoposto ad analisi di laboratorio secondo la metodica cosiddetta “FTIR”, per come stabilito dall’Allegato 1 del D.M. 06/09/1994.
Alla fine, se si è fortunati, si riceve un referto del tipo:
Altrimenti si riceve un referto che riporta (ad esempio)…
Le implicazioni connesse alla seconda eventualità, non debbono spaventare, ma non possono essere sottovalutate: debbono, anzi, essere necessariamente gestite in maniera puntuale e rigorosa, mettendo in atto, fin dal momento dell’avvenuta refertazione, tutte le misure poste a tutela delle persone anche solo potenzialmente esposte.
Particolare attenzione, infine, deve essere poi riservata alla gestione di tale problematica qualora la presenza di MCA sia stata riscontrata in ambienti in cui si svolgano attività lavorative, quindi si rientri nei campi d’attuazione dettagliati dal D. Lgs. 81/2008.